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Dio e la SobrietąEster Abattista - 05/04/2012
Dio e la sobrietà (Articolo pubblicato sulla rivista “Missionari Verbiti” n. 1 2012)
Mi è stato chiesto di scrivere qualche cenno sul tema della sobrietà nei confronti del linguaggio e del mondo biblico. Una prima questione è che bisognerebbe convertire il consueto modo di fare per cui si sceglie un tema e poi ci si chiede che ne dice la Bibbia, come se questa fosse una enciclopedia da consultare; seconda questione: si dovrebbe essere un po' più attenti ad un certa moda che sempre più sta prendendo piede nel mondo cristiano, ovvero l'acquisizione di valori e scelte comportamentali che provengono dal mondo laico e i cui fondamenti etici sono puramente immanenti e assumerli come propri, come facenti parte di uno spirito cristiano. In questo modo si perde l'occasione di approfondire, invece, quali sono i veri valori e le vere scelte comportamentali profondamente cristiani, che, sulla base della rivelazione biblica, si fondano su una visione etica trascendente. L'inganno, se vogliamo, è sulle attuazioni pratiche in cui sia una visione di eticità laica che cristiana apparentemente convergono e sembrano dunque provenire da un'unica fonte di valore. Ma è proprio qui l'errore, e, soprattutto, la perdita, da una parte, di un'occasione per una più profonda conoscenza e consapevolezza della propria identità cristiana, e, dall'altra, di un annuncio evangelico che prenda le mosse dalla rivelazione biblica più che dalle correnti di pensiero, se pur lodevoli, puramente laiche. Certamente nel mondo laico il valore della sobrietà fa parte di una conquista civile all'insegna della solidarietà e corresponsabilità nei confronti delle ricchezze del mondo e già nell'antichità uno stile di vita sobrio ed equilibrato veniva riconosciuto come indice di saggezza. Ma qual è il suo rapporto con il mondo biblico? Per mostrare come e se la sobrietà appartenga alla mentalità biblica, vorrei partire dal significato di questo termine. Il sostantivo sobrietà deriva dall'aggettivo sobrǐo che a sua volta deriva dal latino sobrius che si compone della particella separativa se e ebrǐus, ebbro. Sobrio è dunque chi non è ebbro, ubriaco. E sobrietà indica innanzitutto frugalità nel bere e, per estensione, nel mangiare e nel soddisfacimento degli altri appetiti naturali1. Prendendo spunto da questa definizione e confrontandola con alcune immagini bibliche che descrivono il modo di agire di Dio, dovremmo dire che la sobrietà non fa parte del mondo di Dio, non è per lui un valore, né un criterio di azione. In altre parole, da quanto si evince dalla rivelazione biblica, Dio non agisce certamente con sobrietà nei confronti degli uomini, anzi potrebbe, secondo un criterio di sobrietà, essere, appunto, accusato di spreco e prodigalità. Eccone alcuni esempi: Is 25,6: Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Is 55,1 O voi tutti assetati, venite all'acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Gl 2,26 Mangerete in abbondanza, a sazietà, e loderete il nome del Signore vostro Dio, che in mezzo a voi ha fatto meraviglie.
L'elenco potrebbe continuare, ma ciò che è importante rilevare è proprio questa dimensione di abbondanza, senza misura e senza limite, con la quale Dio si rivolge all'uomo. Anche il Figlio, esegesi del Padre (Gv 1,18 ed ancora: chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Gv 12,45), agisce sulla stessa linea. Tra i tanti esempi prendiamo l'episodio delle nozze di Cana: Gesù non si rifiuta di offrire ai commensali ulteriore vino, e per giunta migliore, quando già si era bevuto molto: Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora".(Gv 2,9-10). Una persona di buon senso, in virtù della sobrietà, avrebbe potuto rispondere alla sopravvenuta mancanza di vino semplicemente facendo notare che se ne era già bevuto abbastanza. Anzi lui stesso passa per essere un mangione e un beone (Mt 11,19//Lc 7,34) e i suoi non capiscono a volte questo suo modo di fare come nel caso della boccetta di profumo costosissima che viene versata da una donna su di lui e che, appunto, reputano, scandalizzati, uno spreco: Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: Perché questo spreco di profumo? (Mc 14,4//Mt 26,8). A tale disappunto Gesù risponde: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto (Mt 26,13). Anche l'insegnamento in parabole è sulla stessa linea se si pensa al racconto di Lc 15,11-22, più conosciuto come la parabola del figliol prodigo. In realtà in tale racconto il padre, in quanto a prodigalità, non è da meno del figlio, visto che per il suo ritorno fa disporre una festa in grande stile: il vestito più bello, il vitello grasso, musica e danze. E la mancanza di sobrietà da parte del padre è il rimprovero che il figlio maggiore gli indirizza. Sulla stessa linea dell'abbondanza senza limiti viene poi descritta l'azione dello Spirito, il dono della grazia: E non ubriacatevi di vino2, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito (Ef 5,18) secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza (Ef 1,7-8) E per ultimo con tale misura senza misura è descritto l'amore di Dio per le sue creature: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16) La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. (Rm 5,5) Anche qui si potrebbe continuare, ma questi pochi esempi possono bastare per comprendere due aspetti fondamentali del modo di agire di Dio e della sua logica, per usare una espressione umana, dove al posto della sobrietà ci sono due misure infinitamente grandi e diversamente opposte dell'essere di Dio. Da una parte, come abbiamo visto, Dio non conosce né limite, né misura, quando si tratta di donare, riversare, rendere visibile ed efficace il suo amore per gli uomini, la sua, anziché sobrietà, potremmo definirla prodigalità estrema; dall'altra parte, tutto questo viene messo da lui in atto attraverso il dono di sé, il restringimento di se stesso, come recita la mistica ebraica nella teoria dello zimzum, che inizia con la creazione e culmina nella kenosis, (svuotamento, umiliazione) del Figlio, dalla sua incarnazione al dono della sua vita mortale:
tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura. (Dante, Paradiso, c.XXXIII)
egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. (Fil 2,6-8)
Più che in sobrietà, come abbiamo visto, Dio eccede in prodigalità verso l'altro che diventa destinatario senza misura e senza calcoli di ogni bene in abbondanza al punto di sacrificare se stesso nella persona del Figlio perché tale dono si trasformi in una vita in abbondanza e l'altro abbia accesso a condividere la stessa vita divina.
Vi è, inoltre, un altro motivo che spiega perché la sobrietà non appartiene propriamente al mondo biblico e che bene risulta nella grande lezione della manna nel deserto, dove viene chiesto ad ogni israelita di prendere la quantità di manna secondo i bisogni di ciascuno: Es 16,17-18 Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con l'omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Nell'indicazione della manna non c'è un criterio di sobrietà, ma di individualità, i bisogni e la quantità di manna cambia a seconda delle persone e il risultato è che tutti ne avevano in abbondanza. Tale è anche la rilettura che ne offre il Sal 78,24-25: fece piovere su di loro la manna per cibo e diede loro pane del cielo: l'uomo mangiò il pane dei forti; diede loro cibo in abbondanza. In altre parole, il concetto di sobrietà, implica un criterio di misura che debba valere come parametro di riferimento oggettivo e generale; altrimenti non si potrebbe definire ciò che è sobrio da ciò che non lo è. Ma a tale criterio di riferimento, per sua necessaria natura astratto e convenzionale, sottostà un principio uniformante e conformante che di per sé è l'esatto opposto del principio diversificante e soggettivo che è alla base della creazione e della relazione intrasoggettiva di cui è intessuta tutta la rivelazione biblica. Per fare un esempio: come e in base a che cosa si può definire un comportamento o una scelta o uno stile di vita sobrio? Perché il concetto di sobrio sia univoco, facilmente riconoscibile e riconducibile in un ambito di giudizio deve avere dei parametri di riferimento cui conformarsi. Dietro, dunque, la sobrietà, vi è insita una forma di uniformità: vi è una misura valida per tutti che definisce il limite oltre il quale un comportamento, una scelta, un'azione non è più sobria. E tutto questo è esattamente l'opposto del principio con cui viene offerto ad ogni israelita di cibarsi della manna: secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Dove il criterio di riferimento era il proprio personale fabbisogno giornaliero. Solo in questo modo l'individualità e la diversità di ciascuno potevano venir rispettate: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Sulla stessa linea saranno le moltiplicazioni dei pani e dei pesci compiute da Gesù la cui quantità (dodici ceste Mc 6,43//Mt 14,20; Lc 9,17 e sette ceste Mc 8,8) non solo supera in abbondanza la richiesta, ma offre, appunto, la possibilità che ciascuno ne prenda secondo il proprio bisogno personale. Riassumendo quanto è emerso, nella Bibbia più che di sobrietà, si parla principalmente di abbondanza, senza limiti e senza misura, a cui corrisponde lo svuotamento di sé per la vita dell'altro: il pane moltiplicato diventerà il corpo e il sangue di Gesù stesso offerto come cibo di vita eterna per molti. Mi sembra che nella logica divina ci sia la proposta di una modalità di rapporto e di giudizio nei confronti di se stessi, dei beni e dell'altro che vada molto oltre il concetto di sobrietà. Se questa, infatti, ha come oggetto di attenzione la propria persona e la misura dell'utilizzo dei beni in rapporto ai propri bisogni e desideri anche in vista del rispetto e del bene dell'altro, l'invito che riceviamo dalla rivelazione biblica è innanzitutto di porre l'altro al centro della propria attenzione, con i suoi bisogni e desideri e di porsi verso questi in una logica di abbondanza e prodigalità, chiedendo al proprio io la disponibilità a svuotarsi, ridursi, ridimensionarsi. In tale prospettiva, allora, più che ricercare criteri e misure corrispondenti ad uno stile di vita sobrio, l'attenzione e la disposizione d'animo si sposta verso l'altro, nel rispetto della sua unicità e diversità, con uno sguardo di infinita abbondanza e prodigalità fino allo svuotamento e all'oblio di sé. Non è infatti questa la realtà, in ultima analisi, dell'amore?
Ester Abbattista
1Cfr. Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. XIX, UTET, 219-220. 2Il termine sobrio compare nel NT con il significato di persona non ubriaca, che vive con moderazione (cfr. 1Tm 3,2.11; Tt 2,2; etc.) e con quello più allargato di persona vigile, attenta e pronta all'azione (cfr. 1Tes 5,6;1Pt 1,13; 4,7; 5,8; etc.). Quest'invito alla moderazione ricorda, poi, alcuni passaggi sapienziali come i detti di Agur in Pr 30,8ss., etc. Si tratta comunque di un'esortazione ad assumere uno stile di vita non fine a se stesso, ma conforme al servizio di amore per il Signore.
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