Daniele Comboni a Gerusalemme
Aspetti inediti della vita del grande vescovomissionario
Le maggiori biografie ne danno una breve notizia, facendo riferimento a quanto lo stesso Comboni racconta nelle lettere che, durante quel viaggio, scrisse ai suoi genitori, al cugino Eustachio Comboni, e ad altri amici e conoscenti.
In chiave esegetico-teologica e alla luce dell’attuale riflessione sulla nuova evangelizzazione, il viaggio si rivela ai nostri occhi denso di significati profetici.
Il 10 settembre 1857, la prima spedizione missionaria promossa dall’Istituto di don Nicola Mazza di Verona si imbarca a Trieste diretta al Cairo, con tappa ad Alessandria d’Egitto. Ne fanno parte don Beltrame, incaricato dallo stesso Mazza di essere il superiore del gruppo, don Oliboni, suo vice, don Melotto, che in assenza dei due riceve l’incarico di condurre la spedizione, don Dal Bosco, che dovrà rimanere a Khartum, e, per ultimo, il giovane don Daniele Comboni. È il primo viaggio missionario di Daniele. Sicuramente nel progetto iniziale non era previsto alcun pellegrinaggio in Terra Santa, anche se non è difficile immaginare che l’eventualità di una tale esperienza potesse affacciarsi tra i suoi desideri.
Una serie di strane coincidenze
L’occasione si presenta davvero «per caso». Sbarcato ad Alessandria, i viaggiatori scoprirono che i fondi stanziati per l’acquisto di ciò che sarebbe servito alla spedizione sono bloccati, e manca l’autorizzazione per riceverli. In attesa che questa impasse burocratica sia risolta, viene loro offerta dal guardiano del convento dei francescani, dove sono ospiti, l’opportunità di recarsi gratuitamente in Palestina per due settimane, imbarcandosi su una nave francese. I tre giovani, Melotto, Dal Bosco e Comboni, ne approfittano, mentre don Beltrame e don Oliboni rimangono per risolvere il problema economico che si era creato, e acquistare quanto necessario alla spedizione.
Sempre per una strana casualità, su quella nave si trova anche Alfonso Maria Ratisbonne, un ebreo che, miracolosamente condotto dalla Vergine Maria nella Chiesa cattolica, si era fatto gesuita. Lasciata la Compagnia di Gesù, aveva poi deciso di seguire le orme del fratello Teodoro nel dare vita alla congregazione maschile e femminile di Nostra Signora di Sion, fondando a Gerusalemme il convento del Lithostrotos.
Sarà proprio Ratisbonne a guidare Comboni e i suoi compagni per le strade della Palestina e nella visita ai luoghi santi. Fra i pellegrini sono presenti anche due missionari, uno della Cina e un altro delle Indie Orientali, e due gesuiti missionari: Soragna e Fene.
Daniele Comboni vive con intensa commozione questo viaggio in Terra Santa, dove tutto gli richiama alla mente la Parola di Dio, il Verbo e la sua carne. Egli vuole contemplare ogni angolo, toccare ogni pietra, ascoltare e meditare la Parola in essa racchiusa. Il suo stato d’animo, i suoi sentimenti, così come egli stesso li descrive, non sono molto lontani da quelli di ogni pellegrino di tutti i tempi e di chiunque desidera toccare con mano la Parola-Terra, la geografia-popolo, il Verbo-carne.
Così egli descrive l’apparire di Gerusalemme ai suoi occhi: «Oh! La grande impressione, che mi fece Gerusalemme! Il pensiero che ogni palmo di quel sacro terreno segnava un mistero mi facea tremare il piede», e d’intensa commozione è la descrizione che fa del Santo Sepolcro, che «è il primo Santuario del mondo», della grotta di Betlemme, del monte Sion, dove - egli scrive - «gli Apostoli si divisero fra loro il mondo che doveano evangelizzare». Comboni non ha dubbi: la Gerusalemme celeste sarà la Gerusalemme terrena trasfigurata: «Io diedi uno sguardo a questa valle, la passai pel lungo e pel largo più volte; e sarà egli qui, dicea fra me stesso, ove sarò giudicato un dì dall’eterno Giudice? Qui si congregheranno tutti i popoli della terra nel giorno finale? Qui si emanerà l’inappellabile sentenza di eterna vita, o di eterna morte per tutti quelli che furono, sono, e saranno! Qui la terra spalancherà le sue profonde voragini per ingoiarvi i reprobi nell’inferno, da qui voleranno gli eletti al cielo?».
Un cammino partito da Sion
La mèta ultima di ogni azione missionaria è Gerusalemme. Ora il Comboni potrà, insieme ai suoi compagni, dare inizio alla missione, «cominciando da Gerusalemme» (Lc 24,47). Ancora «per caso», Daniele Comboni ha posto l’ultimo tassello indispensabile e imprescindibile alla sua preparazione missionaria, alla sua opera di evangelizzazione: conoscere, ripercorrere e innestarsi nelle radici storico-geografiche ed etniche, a cui la Parola è, per disegno di Dio, indissolubilmente ancorata, affinché sia possibile annunciarla in ogni altro contesto e cultura, senza correre il rischio, come a volte avviene, di trasformarla in un’ideologia slegata da quella terra, da quel popolo e da quella carne che Dio ha scelto per rivelarla agli uomini. In questo senso Comboni sarà chiamato, come missionario e vescovo della Chiesa di Dio che è in Africa, ad annunciare il Vangelo contestualizzandolo nella realtà della «nigrizia». Tale operazione sarà possibile e feconda perché per sempre, nel suo cuore e nei suoi occhi, la parola di Dio rimarrà legata a quei luoghi, a quelle pietre, a quella terra divenuta santa in virtù di colui che è Santo.
Scrive a questo proposito il gesuita padre Francesco Rossi de Gasperis: «La parola di Dio, rivelata nella Bibbia, non esiste mai in sé, non va mai interpretata in un vuoto, astratta dal contesto culturale del tempo storico, che è proprio di ogni testo. Questo è particolarmente importante, dal momento che la nostra lettura non potrà e non dovrà nemmeno prescindere dal nostro contesto storico-culturale di lettori odierni. Questa nostra contestualizzazione però dovrà essere sempre la seconda, mai la prima. La nostra attualizzazione della Parola deve essere sempre preceduta da una nostra incessante inculturazione nel suo mondo culturale, nel suo vocabolario e nella sua teologia. Tenendo conto di ciò, dovremmo stare bene attenti a non pensare che il testo biblico sia disponibile a essere attualizzato nei nostri contesti culturali, prima di averlo compreso e interpretato nei contesti propri, dai quali è indivisibile. La mancanza di questa cura previa è all’origine, anche ai nostri giorni, di gravi strumentalizzazioni ideologiche della parola storica di Dio, che è consegnata nelle Scritture d’Israele e della Chiesa».
L’amicizia con il gesuita Ratisbonne
E qui si inserisce l’incontro con il padre Alfonso Maria Ratisbonne. Se da una parte la Parola di Dio è inseparabile dalla sua terra, dall’altra lo è anche dal suo popolo: Israele e la Chiesa. Così, nella sua lectio divina della Terra-Parola, Comboni ha come guida, simbolicamente, Israele e la Chiesa, un rappresentante post litteram della Chiesa giudeo-cristiana, la Chiesa di Gerusalemme, madre di tutte le Chiese di Dio sulla Terra. Da questo incontro Comboni comprende, forse solo implicitamente, ciò che nel futuro verrà sempre più chiaramente esplicitato dalla teologia cristiana, e cioè che il legame tra Israele e la Chiesa permane ben saldo nel mistero di Dio, oltre la dimensione storico-cronologica, come imprescindibile e finale strumento dialogico di salvezza, già delineato da Paolo nella Lettera ai Romani.
Così egli si esprimerà qualche anno dopo, in una lettera al suo amico Ratisbonne: «Quanta emozione ha provato il mio debole cuore! Io vi ho trovato là l’opera di Dio, il miracolo di questo secolo di errori in favore dei poveri figli di Abramo. Io sono convinto della verità dei fatti e da un insieme di quello che si evidenzia nella nostra epoca, che si avvicina il Regno di Dio per gli sfortunati israeliti e che le Opere di Dio, realizzate dai venerabili Fratelli Ratisbonne, ne sono i più forti strumenti, la felice iniziativa e che Nostra Signora di Sion è l’apostolo dei discendenti dei suoi antenati, del popolo eletto».
Comboni non vuole che l’esperienza sua, e dei suoi due compagni, rimanga un episodio singolo e d’eccezione; quanto ha imparato in questo suo pellegrinaggio è un tesoro da condividere e così, qualche anno dopo, invia due missionari a compiere un pellegrinaggio in Terra Santa, affidandoli alla preziosa guida di Ratisbonne: «Si ricorderà, mio venerato e caro Padre, le felici circostanze del mese di ottobre 1857, quando con due missionari dell’Africa Centrale, i R.di Padri Soragna e Fene, Gesuiti, io ebbi la fortuna di fare il viaggio a Gerusalemme con Lei e di visitare le Sue sante Figlie, le Dame di Sion, alle quali ha avuto l’eminente carità di fare elevare sempre delle ferventi preghiere per l’Apostolato dell’Africa Centrale. Ora che la Provvidenza ha destinato che due dei miei missionari venissero in Terra Santa per attingervi sulla tomba del Salvatore e alla greppia di Gesù Bambino la forza necessaria per sacrificare tutta la loro vita per la salvezza e la conversione degli sfortunati figli di Cam dell’Africa interna […]».
Ogni azione evangelizzatrice ha inizio qui, a Gerusalemme - sembra dire Comboni - nella radice della Chiesa giudeo-cristiana degli Apostoli, da cui ogni Chiesa pellegrina nel mondo trae la sua origine e fondamento, e solo partendo da Gerusalemme sarà possibile annunciare il vero Evangelo a tutte le genti, nel rispetto della lingua, della storia e della cultura di ciascuna nazione.
Il Cenacolo per la missione
Alla luce di questa affermazione teologica, il pellegrinaggio di Comboni in Terra Santa, prima di arrivare in terra di missione, acquista un significato profondo, valido per l’azione evangelizzatrice di tutti i tempi, di ieri come di oggi.
La riscoperta del senso profetico di questo «casuale» viaggio del Comboni è uno degli elementi fondanti del Cenacolo missionario comboniano, ultima realtà religiosa missionaria che, ispirandosi al carisma del beato Daniele Comboni, fonda la propria identità e la propria peculiare azione evangelizzatrice nell’essere e nel chiamarsi «Cenacolo», rifacendosi a quanto lo stesso Comboni scriveva: «Desidero che i miei missionari siano come un piccolo Cenacolo di apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi […] e questi raggi che splendono insieme e riscaldano, necessariamente rivelano la natura del Centro da cui emanano». Fedeli all’itinerario del viaggio di Daniele Comboni in Terra Santa, noi pensiamo che il suo «Cenacolo comboniano» chieda di essere compreso in continuità con la realtà del Cenacolo storico di Gerusalemme, dove, come il Comboni aveva scritto, «gli Apostoli si divisero fra loro il mondo che doveano evangelizzare», punto di partenza e di ritorno di ogni azione missionaria. Cenacolo, dunque, come espressione del permanente legame con la concreta Chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme, la Qehillah apostolica degli Atti degli apostoli, madre di tutte le chiese, nella convinzione che solo la costante riscoperta delle radici della fede cristiana possa aprire la strada, senza cadere in facili ideologismi o sincretismi, a una nuova evangelizzazione e a concreti cammini ecumenici e inter-religiosi di inserimento, condivisione e dialogo.
Di tutto questo, quasi per caso, Comboni, forse non con la stessa lucidità di
Ignazio di Loyola, fu anch’egli profeta.
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Ester Abbattista
Aprile 2003 - Popoli
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